CONCEPT

Gli Dei della technica curiosa / Sincretismo dell’arte elettronica

Arte, tecnica e spiritualità sono spesso state contrapposte e descritte come antitetiche negli strumenti e negli obbiettivi.

È possibile invece trovare radici storiche comuni e profonde, metodi condivisi e potenziali sinergie atte ad ipotizzare oggi un’arte sincretica.

Technica curiosa è il titolo di un testo del gesuita tedesco Kaspar Schott, allievo di Athanasius Kirchner, e come lui  studioso di filosofia, teologia e matematica. Il volume è edito nel 1664, nel mezzo di un cinquantennio che vede, al suo inizio, la condanna di Galileo (1633) e, alla fine, la pubblicazione dei Philosophie Naturalis Principia Matematica di Newton (1687).

Technica curiosa tratta di esperimenti sul vuoto e sulla pressione dell’aria, ma anche di macchine per la fabbricazione del moto perpetuo; prodigiosi congegni per la misurazione del tempo; scafandri per esplorare le profondità del mare; spettacolari fontane barocche e sorprendenti misteri cabalistici dell’alfabeto ebraico.

Un modo di guardare al fenomeno scientifico e, forse, una piccola resistenza all’avanzare del nuovo metodo delle scienze moderne, ultimo tentativo di mantenere unite arte, tecnica e spiritualità.

Un modo di guardare  colmo di curiositas, di  brama di conoscenze, di voglia di mutare il mondo: tutti elementi che, uniti alle competenze sincretiche, hanno caratterizzato anche l’operare dell’artista sino alla distinzione tra arte in genere e arte bella operata da Kant e alla successiva netta separazione operata dai suoi (peggiori) interpreti.

Anche nella tradizione del  binario logico del modernismo, l’arte, l’intuizione, la natura e la metafisica formano un insieme che si oppone alla tecnologia, alla razionalità analitica, alle macchine, alla fisica.

Per Heidegger l’arte (poiesis) era la panacea per la minaccia dell’ incorniciamento tecnologico mentre per McLuhan  era un radar per la percezione delle nostre tecnologie e le loro conseguenze psichiche e sociali.

La tecnica è per lui un prodotto dell’uomo ma è anche il contrario: retroagisce su di esso, sul suo cervello, lo ridisegna in nuovi aspetti cognitivi e di comportamento.

L’introduzione della scrittura alfabetica ha definitivamente separato le antiche muse che prima convivevano felicemente in noi. Forse solo le nuove tecnologie e la multimedialità in uso agli artisti stanno cercando di riunirle.

Solo Bergson capì che, come la ragione scientifica permette l’accumulazione di conoscenze su argomento fisico, così l’intuizione metafisica permette la conoscenza dello spirito. Teorizzò che  l’unione della ragione e della intuizione (durée o duration) combina passato, presente e futuro, dissolvendo l’apparenza diacronica del tempo categoriale, e provvede ad unire l’esperienza (o inconscia coscienza) dalla sconnessione sincronica del continuo cambiamento.

Oggi, con l’arte elettronica, arte e tecnologia, riflessione artistica, scientifica, e spirituale tornano ricongiungersi, ad essere gli ingredienti  dei processi del lavoro dell’artista, attento al pensiero corrente più avanzato, capace di prelevare, in termini creativi, i saperi della scienza e riadattare le tecniche disponibili per generare esperienze  estetiche e nuove coscienze.

Un atteggiamento che oscilla tra lo scienziato e l’artista, tra lo studioso della natura, delle regole che governano il proprio tempo e la capacità dei mistici di sognare e pensare altre nature e altri mondi possibili.

Se un procedere intrecciato tra arte e spiritualità è molto evidente nella storia dell’arte, molto meno lo è  tra conoscenze scientifiche e saperi spirituali.

Fino ad Agostino l’accesso alla conoscenza totale passava soltanto per le vie dello spirito, capace di trascendere il corpo e le attività terrene. La tecnologia veniva vista in negativo, come necessità umana di sopravvivenza dopo la “caduta”.

La tecnologia invece non è sempre antitetica alla spiritualità: anzi, il suo fascino si alimenta delle più lontane fantasie e antichi miti religiosi.

In ogni tecnologia è sottesa, all’apparente razionalità, una spiritualità che ricerca motivazioni ultraterrene.

Nel VI sec. sono i monaci benedettini, non solo  abili miniatori delle scritture sacre, ma anche grandi sostenitori, con Benedetto da Norcia, delle arti pratiche e del lavoro manuale come elementi fondamentali della devozione, unitamente alla preghiera liturgica, che danno impulso allo sviluppo della tecnologia.
Investendo le arti pratiche di valenza spirituale, danno loro nuova dignità.

È nel IX sec, con il filosofo Eriugena, che si codifica il nuovo termine arti meccaniche, che precorre il termine arti applicate e tecnologia.
Sosteneva che le arti pratiche fossero la dote originaria nella loro somiglianza con Dio e non un prodotto necessario alla condizione di peccatore.

Ma già nel X sec. Un miniatore di Winchester raffigurava Dio con una bilancia, una squadra e due compassi simboli dell’ingegneria.
È del XII sec. Il trattato del benedettino TeofiloDe diversis artibus” ove si giustifica religiosamente ogni abilità materiale conosciuta atta all’abbellimento di una chiesa.
E nel XIII sec. Michele Scoto e il francescano Bonaventura rovesciano definitivamente la concezione agostiniana santificando le scienze umane e le arti meccaniche come attività cognitive divine nell’origine e nello scopo.

Più avanti nel tempo, la scoperta di Cristoforo Colombo è impregnata di scienza geografica e ispirazioni divine.

La sua rivelazione di un nuovo mondo fa convivere un successo tecnico con la visione millenaristica della fine del mondo e quindi il compimento della sua perfezione.
All’idea di una nuova era preferisce il profetico ritrovamento del giardino dell’Eden.

Ritroviamo  paure millenaristiche nella metà del secolo scorso con la rincorsa agli armamenti atomici.
Non è stato casuale l’aver chiamato il primo test dell’esplosione atomica “Trinity”!
Lo stesso Oppenheimer descriverà  l’esplosione e il bagliore come “l’atto della creazione” sostenendo che Dio, dicendo “che sia la luce” aveva visto qualche cosa di simile.

Ritroviamo sempre una commistione stretta tra tecnica e spiritualità nei sogni di viaggi sulla luna e su pianeti abitati di Tommaso Campanella e di Jhoannes Kepler, entrambi molto religiosi.

Nei primi tentativi di volo dei fratelli Wright, figli un vescovo della Chiesa della Fratellanza, che condussero le loro ricerche sul volo quasi da reclusi, guidati da visioni ultraterrene.

Nei voli spaziali di von Braun, che, come Keplero, è studente in un collegio conventuale, e sin da giovane ossessionato da visioni di viaggi nello spazio. Sceglierà di lavorare per il terzo Reich perché i finanziamenti militari erano l’unica possibilità di avvicinarsi  alla missilistica. Costretto poi a lavorare per la sperimentazione militare americana, influenzato da un sacerdote texano, ritrova fede e fervore e ancora una volta non a caso, il primo progetto di mandare l’uomo nello spazio viene chiamato “Adam”.
E tutte le sue dichiarazioni circa le finalità dei voli spaziali sono state improntate da una visione di una scienza e di una tecnologia compatibili ed essenziali al raggiungimento della redenzione.

Nella prima metà dell’800, George Boole, come Keplero e Descartes, pensava che la mente dell’uomo fosse una dote divina, distinta dal corpo mortale e fu ossessionato  dal comprendere i meccanismi del pensiero umano.

Giovanissimo matematico molto religioso, descrive una “visione” in cui gli viene rivelata la finalità della sua esistenza: spiegare la logica e la spiritualità dell’uomo attraverso formule simbolico-algebriche.
Nel descrivere, con il n. 1, l’unicità di Dio e dell’universo, darà il via all’algebra binaria, che sarà la base logica di tutta l’era digitale.

Claude Shannnon e Alan Turing un secolo dopo, porranno le basi per l’intelligenza artificiale.
Penseranno ad una mente simulata, totalmente liberata dal peso del corpo mortale, capace di evolversi in forme superiori, fino al riunirsi con l’origine divina.

Si definirà, più tardi, uno spazio simulato, capace di accoglierci in forma immersiva  e il non-spazio del collegamento on-line.
Un filosofo e consulente d’informatica, Michel Heim, dirà: “quale modo migliore per emulare la conoscenza di Dio, se non generare un mondo virtuale costituito da bit d’informazione. Nel mondo cibernetico gli umani possono godere di un accesso istantaneo al divino”.

L’estasi religiosa per il cyberspazio è stata superata soltanto dai creatori dell’Artificial Life, forme puramente numeriche capaci di evolversi in ambienti nuovi, mondi e universi di silicio, esseri fatti di pura informazione.

E l’ingegneria genetica conclude il lungo cammino delle ricerche dei filosofi ermetici e degli alchimisti che per secoli hanno cercato di scoprire i segreti della vita e di riprodurli.
Sinsheirmer spiega il progetto Genoma Umano come “l’aver scoperto il linguaggio con cui Dio ha creato la vita”.

È evidente come molti autori di grandi invenzioni sono stati credenti profondi: lavorando spesso su motivazioni spirituali hanno spesso scelto, come gli artisti, sistemi non convenzionali di conoscenza.

E molti altri artisti, inventori, tecnici e scienziati hanno sempre attinto alla spiritualità come un’attitudine e non un’ organizzazione di riti.

A una spiritualità come questione del posto che occupa l’umanità nell’universo, caratterizzata dall’interesse all’auto riflessione, e meditazione.

Alla spiritualità che esplora spazio, tempo e luce; parla agli occhi, al corpo e alla mente con la forza del risveglio.

Siamo osservatori al centro della pura esperienza cosmologica. Siamo  osservatori celesti capaci di far convivere antiche civiltà con le più avanzate tecnologie. Sappiamo far uso della razionalità e delle vie intuitive.
Ci trasformiamo in esseri sincretici capaci di unire scienza, arte e spiritualità.

L’arte del nuovo millennio, è impegnata nell’esplorazione della potenzialità estetico-creativa dei processi di generazione digitale; sperimenta nuovi paradigmi d’interpretazione tra visitatore ed opera; è capace di concepirsi come sistema complesso e di confrontarsi con la teoria e la scienza della complessità.

Sa porsi sulle scie evolutive dei saperi umani, incorporando biologia, ingegneria, informatica, filosofia, teologia, antropologia, psicologia, vita artificiale.

Sa raccogliere il frutto del lungo cammino dei mille Schott e Kirchner del passato.

Vuole essere riconosciuta come un vero, paritetico, nodo cognitivo sincretico dell’uomo.

Il binomio Arte e Elettronica ha prodotto un planetario spostamento di una gran percentuale di operatori artistici verso gli strumenti della rielaborazione digitale che generano nuovi atti  comunicativi.

Promotrici sono le numerose modalità operative,  digitali ed interattive, che l’arte elettronica mette in scena.

Non si tratta di un semplice nuovo rapportarsi alla macchina, ma una di vera e propria riconfigurazione dei nostri sensi,  un nuovo paradigma ove la coscienza cognitiva si unisce a quella percettiva in approcci nuovi per la conoscenza.

Si è rafforzata una visione sistemica del mondo, interessata alla interconnessione di parti differenti e alla loro interazione.

Al gioco estetico si è sovrapposta la strategia cognitiva fatta di scambi di informazioni.

Si pone in continua discussione la questione di tempo ed eternità, del tempo teologico e del tempo scientifico.

Si pone costantemente in evidenza come i nuovi ambienti tecnologici, virtuali o in rete siano “non luoghi” molto vicini ai “non luoghi” spirituali, condivisibili e globali. È curioso che cattolico significhi “globale”!

La multimedialità contemporanea mette in gioco un teatro più rappresentativo dei percorsi della memoria, non lineari, ma combinatori con associazioni automatiche continue.

Lo spazio “scenico” dell’opera non è più frontale ma tutto intorno.

L’interattività prevede il collegamento, l’immersione. Come nella teoria quantica, anche nel nuovo spazio della rappresentazione, è l’osservatore a rendere visibile l’invisibile, è l’osservazione che materializza l’evento, la realtà.

Una certa persistenza della visione meccanicistica ci fa ancora ragionare contrapponendo l’uomo alla macchina, l’idea che le nuove tecnologie ci distanziano dall’esperienza umana.

In realtà non ci viene sottratta fisicità alcuna, non ci stiamo “dissolvendo”, ma anzi, il nostro corpo, con le sue protesi ed estensioni fisiche e cognitive ha esteso le proprie possibilità.

Ed è l’azione, l’interattività, a porre in relazione lo spazio fisico con quello mentale:  l’interfaccia è e rimane il nostro corpo.

Negli ambienti virtuali quello che conta è “l’esserci”, e ogni strumento, casco, guanto, tappeto a sensori ecc. serve a meglio precisare le coordinate spaziali  del nostro corpo.

Il virtuale permette al nostro corpo di accedere a realtà fisicamente o temporalmente lontane quindi a una forma di trascendente tecnologico.

L’ibridazione di differenti sistemi – artistico, tecnologico, teatrale ed elettronico, tecniche multimediali e della comunicazione – ha generato nuovi contesti espressivi: ha abbattuto i divari tecnica/uomo, corpo/mente.

L’interattività ha superato il vecchio sistema di rappresentazione televisiva, facendo riaffiorare il più antico elemento del teatro, del rito, del sacro: la condivisione.

Dal nostro corpo potenziato con protesi elettroniche, capace di immergersi e navigare, spesso in solitudine, in una realtà virtuale, si passa al cyber-spazio, metafora dello spazio reale, condiviso da alter ego coinvolti in un processo comunicativo più che in un’esplorazione.

Siamo passati dal telefono come parola senza corpo (la voce divina) alla chat-line come parola condivisa senza suono (le tavole della legge).

Poi i primi avatars ci permettevano di osservare e partecipare ad ambienti condivisi, e i nuovi chatbots che hanno potenziato le nostre possibilità di condivisione comunicativa.
Dai primi nostri alter-ego limitati e predeterminati nella forma e nell’agire, i nuovi know-bots sono dotati di nuovi sistemi relazionali, memorizzano frasi e parole e le usano in maniera autonoma, in contesti appropriati.

Ci pongono di fronte all’indeterminato, al non prevedibile, sembrano acquisire autonomia, attori non più meccanici ma veri e propri interpreti che vantano un sistema di riconoscimento vocale e una voce propria frutto di programmi di intelligenza artificiale.

Sono i pronipoti della visionarietà religiosa, delle apparizioni delle divinità antiche e  dei santi.

Sono un altro passo verso il nostro esistere come puro codice, composti di non materia, atti a vivere dove il computo digitale non sarà più 0 o 1 ma 0 e 1 nello stesso istante, dove tutto sarà replica ed originale contemporaneamente.

Saremo finalmente grandi divinità prodotte dall’arte della technica curiosa, o soltanto particelle quantiche, talmente piccole e invisibili da essere introvabili anche  per noi stessi?

Ale Guzzetti, 3 aprile 2007