L’arte sensibile e i modelli del vivente
di Pier Luigi Capucci
La materia
Nella nostra cultura l’utilizzo del vetro come materiale ha due accezioni prevalenti. Una è legata all’idea del vetro come materiale arcaico e nobile, che rimanda alle forme dell’artigianato storico e del design (le vetrate, i vasi, i vetri soffiati, gli oggetti, le suppellettili…), un’idea che non trova molti riferimenti nell’universo dell’arte contemporanea. L’altra accezione è legata all’idea del vetro come materiale industriale e tecnologico (pavimentazioni, strutture, contenitori, fibre, materiali da costruzione, illuminotecnica…), ed è un’idea che, a parte qualche eccezione, è forse ancora più lontana dal mondo tradizionale dell’arte e si posiziona in quello dell’architettura e del design industriale.
Un’idea abbastanza diversa, meno articolata data anche l’origine molto più recente e tecnologica di questo materiale, configura l’impiego della plastica e più in generale dei materiali di tipo plastico. Sulla “plastica”, sulla sua duttilità ed economicità, sul suo straordinario polimorfismo e sull’enorme varietà delle sue applicazioni si regge buona parte del nostro mondo quotidiano, degli oggetti di uso comune, degli artefatti. La plastica è il materiale metamorfico per eccellenza e nel corso dei decenni oltre a generare nuove tipologie di materiali industriali è andato via via sostituendo nell’uso e nelle funzioni svariati materiali della tradizione, tra cui per esempio il vetro. Al punto che la duttilità, l’economicità, la popolarità, la diffusione e la pervasività dei materiali plastici sono state spesso caricate in negativo di responsabilità ecologiche, di invadenza ambientale, anche dopo la loro recente capacità di riciclarsi.
Anche i materiali plastici, per le loro caratteristiche “popolari”, industriali, seriali, sono rimasti spesso estranei del mondo dell’arte tradizionale: troppo poco ricercati e nobili come materiali e la cui lavorazione implicava l’uso di macchine e di tecnologie. Come per il vetro, la loro capacità di rappresentare e di oggettivarsi si è sovente fermata alle soglie dell’opera d’arte: oggetti di uso comune, il kitsch, il design, l’architettura… Solo in epoca recente soprattutto gli spazi delle installazioni ne hanno proposto l’impiego, fondandosi proprio sulle caratteristiche metamorfiche e sulla vocazione ambientale della plastica e del vetro.
La forma
Nei suoi lavori Ale Guzzetti utilizza sia la plastica che il vetro, partendo tuttavia da approcci profondamente diversi e molto distanti. Per la plastica egli impiega materiali di uso e derivazione industriale, quindi realizzati in serie, oggetti di varia destinazione che vengono modificati e assemblati in costrutti e strutture improbabili, in una sorta di readymades che sono totalmente altro rispetto alla normale destinazione d’uso delle singole parti. Questa destinazione d’uso non viene affatto nascosta, al contrario viene quasi celebrata, reificata,
rendendo le sculture e le installazioni come dei piccoli monumenti alla contemporaneità, al caos, al disordine e all’instabilità degli oggetti, alla possibilità combinatoria e aggregativa degli oggetti industriali in costrutti semantici inusitati e non utilitaristici (inutili). Come se questi oggetti fossero altrettanti elementi semantici di un discorso dinamico indefinitamente ricompilabile e aggregativo (dimensione tipica delle cosiddette “civiltà occidentali avanzate”).
Per realizzare gli oggetti in vetro, invece, Ale Guzzetti impiega la tecnica secolare della lavorazione a soffio degli artigiani di Murano, dunque una tecnica non seriale, che produce oggetti che sono unici. Poi assembla le parti in vetro in strutture simili a quelle in plastica, nonostante la presenza più evidente di analogie con la morfologia naturale (del resto già insita nelle valenze mitico-religiose del “soffio creatore” e nella conseguente “naturalità” di ciò che viene generato…). Queste forme e strutture artificiali/naturali biomorfe è un po’ come se
avessero imbrigliato elementi naturali cristallizzandoli nel vetro, e il loro biomorfismo deriva anche dal fatto che nella loro realizzazione non devono sottostare ai limiti tecnici della standardizzazione produttiva industriale, come invece avviene per gli oggetti in plastica. Le opere in vetro richiamano la purezza, la complessità, l’immanenza, l’assolutezza, la familiarità e nello stesso tempo l’imprevedibilità delle forme naturali, la loro inedulibile presenza, il loro avvenire. E, come eco, ricordano la centralità che oggi riveste – e sempre più in futuro rivestirà – il confronto della nostra cultura e delle sue conoscenze con la dimensione biologica.
Sulla plastica e sul vetro si innestano infine forme, strutture e dispositivi di derivazione tecnologica, come sfere al plasma, interruttori, luci, spie, altoparlanti, circuiti, manopole, potenziometri, motori elettrici, che aggiungono dinamismo alle opere articolandone la dimensione dialogica, ambientale. Questi innesti tecnologici si integrano con la dimensione formale e con i materiali delle opere e delle installazioni. Dunque, dal punto di vista
progettuale, formale, nonché per i materiali impiegati, i lavori di Guzzetti coniugano vari livelli e dimensioni che li rendono estremamente complessi, poliedrici, eclettici, a cavallo tra arte, design, artigianato, tecnologia, comunicazione… E, in più, al di là dell’apparenza, per esistere possono – devono – raccontare (hanno voce), possono – devono – ascoltare. Come vedremo, vogliono vivere. In una parola, sono profondamente contemporanei. Questa passione per la contemporaneità culturale e tecnologica, passione intesa sia nel senso di “fascinazione” che in quello etimologico di “sofferenza”, è una delle caratteristiche salienti del lavoro di Guzzetti.
La vita
Anche partendo da materiali e da operatività di natura così diversa le opere di Guzzetti mantengono un’unitarietà formale ed espressiva, uno stile peculiare e riconoscibile. Tuttavia sarebbe limitante considerarne solo gli aspetti materici e formali (morfostrutturali, cromatici, spaziali, dinamici…): senza dubbio sono elementi importanti, orchestrati con sapienza e ironia, che aprono a riflessioni sulle forme avveniristiche del vetro e della plastica, a considerazioni su un’arte che rivisita la tradizione in chiave tecnologica o su un’estetica dei materiali industriali.
Nei lavori di Guzzetti c’è di più: le forme e i materiali sono di supporto a un discorso più complesso che si sviluppa tra opera e fruitore, sono il vettore di una poetica dell’interazione che si compie nel segno del dialogo e della reciprocità.
Le opere e le installazioni di Guzzetti sono in qualche modo senzienti, percepiscono l’ambiente e il visitatore e in risposta attivano dei comportamenti (suoni, movimenti, luci, colori). A sua volta il visitatore può interagire con esse toccandole, muovendone delle parti, producendo esiti acustici e sonori, luminosi, modificazioni formali. Questa parte ambientale dinamica e sonora e l’interazione col fruitore non vanno considerate a latere delle opere, al contrario, ne sono parte integrante e fondamentale a livello strutturale e poetico, al pari delle forme e dei materiali. Ciò dà luogo ad alcuni interessanti corollari. Dato che gli elementi di interazione con il visitatore e con l’ambiente e gli esiti che si producono in virtù di questa interazione sono parte integrante delle opere, esse fondano la propria compiutezza sulla nostra presenza e attività. Senza questa dimensione sarebbero solo oggetti inanimati: è la processualità dell’interazione che rende le opere compiute, vive: esse esistono e vivono – mutano, suonano, si muovono – grazie a noi, siamo noi che le facciamo vivere. E dato che ognuno di noi agisce in modo diverso il risultato è che l’opera, in quanto somma della dimensione formale e della dimensione ambientale e interattiva, è sempre diversa, non è mai uguale a se stessa, è metamorfica. Il suo linguaggio non ha tanto a che fare con l’identità quanto con la differenza: l’opera è “aperta” perché il risultato dell’interazione, data la variabilità del contesto ambientale e dell’attività del fruitore, non può mai essere completamente predetto.
Queste caratteristiche, tipiche dell’arte interattiva, proiettano i lavori di Guzzetti nel cuore pulsante della contemporaneità, insieme alla sua ricerca in direzione del vivente, della riproduzione del vivente sia mediante le forme che i “comportamenti” delle sue opere. La nostra cultura tende sempre più a riprodurre i meccanismi e le dinamiche del vivente, la vita, negli oggetti, negli artefatti, nelle macchine, nei materiali, nei processi che crea, che si fanno sempre più complessi, articolati, automatici, versatili, polifunzionali. L’evoluzione tecnologica è giunta a un livello tale di complessità che un numero crescente di oggetti e artefatti, anche di
uso comune, sembra acquisire caratteristiche e comportamenti che presentano varie analogie con quelli degli organismi viventi: pensiamo alle capacità di autoregolazione e di autoprogrammazione di elettrodomestici, telefonini, automobili, computer, giocattoli… Il modello è il vivente sia perché è il livello di complessità raggiunto da questi artefatti ad evocarlo, sia perché la natura operativa degli organismi viventi è il miglior modello che possediamo, di cui apprezziamo l’efficienza maturata nel volgere di un’evoluzione di miliardi di anni nell’adattarsi all’ambiente naturale. Per questo cerchiamo di riprodurre il vivente negli oggetti, negli artefatti, nelle macchine: perché siano sempre più capaci di adattarsi all’ambiente umano, al nostro ambiente. Non muta dunque solo la pelle degli oggetti ma il loro comportamento. I nostri artefatti, il cui modello è il vivente, vanno verso una sorta di esistenza autonoma, una sorta di vita. E, accanto all’evoluzione tecnologica, va ricordata quella scientifica, in particolare le recenti e discusse acquisizioni in campo biologico e genetico che indagano sui segreti più reconditi della vita e della memoria a lunghissimo termine e consentono di intervenirvi sopra. La natura, con le sue dinamiche e i suoi meccanismi, da sempre ci affascina: la reale “bellezza” o “perfezione” della natura non risiede nella sua apparenza contemplativa, nelle sue immagini o nella sua sostanza materiale, ma nella sua operatività. E, ripercorrendo la mitologia e la storia, è importante notare come questa fascinazione per la natura, per la vita e per la sua riproduzione non sia un’esclusiva della nostra contemporaneità, bensì sia fra i desiderata più remoti e persistenti dell’umanità.
La “nuova natura”
Al di là della dimensione formale e materiale, i lavori di Guzzetti, costituiti di rappresentazioni biomorfe e di oggetti che mimano aspetti della vita e della natura, pongono dunque, interpretandole in chiave artistica, anche queste tematiche attuali. L’atmosfera delle installazioni e degli ambienti è un artificiale che possiede varie reminiscenze della natura, che cerca di simularne alcune caratteristiche e proprietà. Questa sorta di “nuova natura” e di infosfera della comunicazione (sonora, interattiva) riecheggia la nostra “giungla antropica” fatta di rumori della civiltà, di suoni e versi paranaturali, di segnali di macchine che interagiscono tra loro, che richiedono la nostra attenzione o cercano di attirarla, di beep di dispositivi che si scambiano dati, di suoni dal mito, dal sogno o dall’indifferenza.
Di questa “nuova natura” contemporanea, in cui noi tutti viviamo immersi, ma anche delle sue mitologie, contraddizioni, oscurità, Guzzetti è il cantore ironico e acuto. Le sue opere vive, nell’occhio del ciclone, reinterpretano Pigmalione che si innamora della statua che crea, il Golem, la gara tra Zeusi e Parrasio nel copiare il reale, Michelangelo e il suo Mosè, Frankenstein, Cagliostro, il Giocatore di Scacchi di von Kempelen, gli automi e i robot, la genetica e la vita artificiale..: il perenne confronto dell’umanità e delle sue creazioni con la vita, la sua sfida continua e inesausta alla natura.
Pubblicato nel catalogo della mostra dello scultore Ale Guzzetti, Palazzo Sforza, Cotignola,
16 Dicembre 2000 – 7 Gennaio 2001. Testo di presentazione