Sculture che osservano: dall’arte interattiva all’arte robotica
di Cristina Trivellin
Ci sarà tempo fino al 24 luglio 2016 per fare un giro a Vicenza e recarsi alla Galleria Valmore dove è possibile ammirare un’esaustiva selezione di opere che rappresentano il trentennale percorso di Ale Guzzetti, tra i primi artisti italiani dediti all’indagine sui rapporti tra arte, scienza e tecnologia, attraverso la robotica.
Le sue opere, presenti in musei e collezioni di tutto il mondo, parlano di un’arte relazionale che mette al centro lo spettatore e il suo rapporto con la tecnologia, dando vita a interessanti riflessioni sull’universo comunicativo e sulla ormai presunta dicotomia naturale/artificale.
Da diversi anni ormai si sente parlare di arti elettroniche, robotiche, multimediali, e non è raro vederle oscillare un po’ troppo dalla parte del virtuosismo tecnologico, puntando sulla sorpresa, sul prodigio ma “peccando” talvolta dal punto di vista teorico. Non è certamente il caso di Ale Guzzetti: basta andare a leggere le sue dichiarazioni di poetica, dare uno sguardo al mare magnum di letture, teorie e intellettuali di riferimento che lui stesso cita per comprendere quanto l’opera sia solo la punta dell’iceberg, la concretizzazione, la sfida comunicativa di un universo complesso e stratificato, l’estrinsecazione della materia di cui son fatti i sogni di questo artista/intellettuale decisamente fuori dal comune. Dietro a una sorta di scanzonata e autoironica modestia, si cela dunque un artista rigoroso e preparatissimo che infonde nella pratica la teoria, con tale dimestichezza e gusto nel fare da sfociare in opere bellissime, da guardare e da capire: sistemi complessi che si inseriscono in una rete di relazioni ricca di risvolti ancora inediti.
Proprio su questa sostanziale differenza punta la mostra a Vicenza, curata da Monica Bonollo. Un’antologica sul percorso coerente e produttivo di Ale Guzzetti, che va dalle prime Sculture sonore del 1983 fino ai più recenti Robots portrait e Affective robots .
In tutte le opere ricorre la presenza di sensori che intercettano le sollecitazioni esterne e attivano suoni, parole, musica: dell’interazione gli interessa soprattutto l’aspetto filosofico, la ricerca alle origini della fascinazione del genere umano per la tecnologia e per la continua elaborazione di strumenti sempre più sofisticati, estensioni, protesi dei nostri arti e dei nostri sensi, ma inevitabilmente anche delle nostre coscienze percettive.
In ogni tecnologia – Scrive Ale Guzzetti – è sottesa, all’apparente razionalità, una spiritualità che ricerca motivazioni. Ci trasformiamo in esseri sincretici capaci di unire scienza, arte e spiritualità.
Le più recenti ricerche di Guzzetti sono sempre più orientate verso la robotica: particolarmente significativi i suoi Affective Robots, busti scultorei in alluminio, plastica e circuiti elettronici, dotati di grandi occhi tecnologici che permettono alle opere di scrutare l’ambiente, interagire con l’osservatore e dialogare fra loro o con effigi umane, in un mosaico di proiezioni e identificazioni che ci fanno entrare in immediata empatia.
Qui entra in gioco anche il dialogo con le convenzionali “arti plastiche” e i Robot si confrontano con sculture del passato o ammiccano allo spettatore. Le opere di Guzzetti, scrive la curatrice della mostra, danno vita a un mondo ibrido che stabilisce una relazione inedita tra le diverse forme di “esseri viventi”. Proprio qui sta la sua innovazione. Il lavoro e la ricerca artistica di Guzzetti non sono circoscrivibili nei consueti processi, proprio perché la scena nella quale l’artista opera è una scena nuova, che travalica e oltrepassa le usuali vie, per inoltrarsi in un cammino che esplora nuovi contesti espressivi, frutto dell’ibridazione di più sistemi, rompendo gerarchie, rovesciando punti di vista, dando via a immaginari che spostano il centro in un non-centro, in un altrove dove la realtà (arte compresa) sta nelle relazioni e nelle condivisioni.
Tra le recenti esposizioni ricordiamo la partecipazione alla collettiva appena terminata, Rabenschwarz, (Bamberga, 30 aprile, 12 giugno) nella quale l’artista ha presentato Robotic Gregorian Choir – Dies Irae, un’installazione di grande impatto che conferma la visionarietà e la totale adesione a un pensiero proiettato avanti, oltre la contemporaneità: L’interattività ha superato il vecchio sistema di rappresentazione televisiva, facendo riaffiorare il più antico elemento del teatro, del rito, del sacro: la condivisione. Vuole essere riconosciuta come un vero, paritetico, nodo cognitivo sincretico dell’uomo.
Pubblicato su D’ARS anno 56/n. 223/estate 2016