Il bosco delle ninfe
di Marco Vitale
Visual Cultures e Pratiche Curatoriali, Accademia di Belle Arti di Brera, Milano
Nell’opera Il bosco delle ninfe, Guzzetti tratta il tema della distorsione delle immagini, un’operazione che è stata resa familiare dalla diffusione del computer. Se in passato un’opera esposta non offriva alcun contatto con chi la osservava, il file che ne è riproduzione è invece accessibile e modificabile in pochi secondi. Pertanto, essa appare meno eterna e monolitica; ad esempio, ingrandendo una foto di una figura umana senza rispettarne le proporzioni, si ottiene un curioso effetto di “allungamento”: gli occhi e la testa diventano ovali, il collo e il busto sottili e stretti, le spalle innaturalmente scoscese. Seppur gli elementi del corpo siano di fatto ancora lì, tanto più esso si allunga tanto più diviene irriconoscibile e alieno – quel viaggiatore proveniente da un mondo alternativo caro all’artista. L’installazione porta nella materia quest’idea, esponendo riproduzioni distorte delle statue greche dalla lunghezza variabile tra l’uno e i tre metri, in un peculiare passaggio dall’immagine digitale alla materia tangibile.
Questi oblunghe statue-tronchi formano una foresta, un luogo che ha un fascino irresistibile sull’uomo. Infatti, fin dai tempi più remoti, essa ha suggerito un’atmosfera sacrale: presso gli antichi greci, gli Dei avrebbero punito con la morte chi tagliasse un albero senza una ragione; il tempio stesso è il tentativo di riprodurre i tronchi, trasformandoli in colonne. Guzzetti ribalta questo rapporto: non è la foresta che genera il tempio, ma essa nasce dall’arte che ha ispirato; le figure divine delle ninfe, che con l’albero nascono e muoiono, non si nascondono più al suo interno, ma ne formano i fusti col loro corpo. Ciò può avvenire poiché le Nike e le Athene, e la religiosità che incarnano, formano uno strato della nostra cultura tanto profondo e fondante da essere assimilabile alla natura stessa, due piani che nel lavoro dell’artista si fondono, divenendo complementari e inscindibili.
Per i popoli antichi, gli alberi sono silenziosi e potenti esseri viventi, che respirano e pulsano di vita. Create della stampa 3D e animate delle voci campionate e distorte del musicista Bruno De Franceschi, anche queste nuove forme arboree respirano, emettono suoni quando percepiscono il movimento dello spettatore. Attraverso l’ascolto, il senso privilegiato della foresta, esse tentano di instaurare una relazione personale con ogni singolo uomo, l’individuo vivo proprio come loro. Queste presenze sonore sono talvolta inquietanti o ironiche, ma tutte suggeriscono di rinunciare alla propria individualità per ritrovare una nuova comunione col bosco mistico. Pertanto, attraverso la sperimentazione tecnologica, che affonda nell’arte classica, Guzzetti ci suggerisce un modo di riconciliazione con la natura, nel tentativo di salvare un’umanità che pare tristemente avviata verso il tramonto della sua epoca su questo pianeta.