L’ARTE DEGLI SGUARDI: GLI OCCHI EMPATICI DELLE OPERE DI ALE GUZZETTI
di Martina Capelli
Visual Cultures e pratiche curatoriali
Accademia di Belle Arti di Brera, Milano
La Sala Nevera di Casa Morandi presenta Quando i Robot incontrarono gli Antichi Dei, mostra che coniuga i concetti distanti di arte e tecnologia dell’artista Ale Guzzetti. L’esposizione racconta il lavoro dell’artista dal 2012 al 2022 con una vasta gamma di installazioni, colori e volti interattivi. Il percorso della mostra è articolato su due piani che consentono di cogliere temi e linee di ricerca approfonditi durante la sua attività: un’arte che presenta sculture capaci di sensibilità, che ambiscono a disorientare l’umano per confondersi e confrontarsi nella ricerca di una connessione corrisposta che supera vincoli e possibilità. L’artista varesino si avvale della tecnologia come dispositivo di analisi filosofica e scientifica per sondare le domande del genere umano: spazio, tempo, Dio, ambiente e cosmo. Ogni tecnologia porta con sè tratti spirituali in cerca di motivazioni ultraterrene. È possibile trovare radici storiche comuni e radicate, metodi condivisi e sinergie tra arte, tecnica e spiritualità. La sua prima mostra di sculture interattive era intitolata Oggetti che osservano; orientata verso le teorie di Heinz Von Foerster per sottolineare il legame tra le cose, l’ambiente e l’osservatore. La conoscenza è la ricorrente connessione tra questi tre elementi.
Nelle sue opere sfuma il contrasto tra serietà e sacralità dell’opera, tra i materiali solitamente consacrati all’arte e quelli propri dell’industria e del consumo di massa, tra l’unicità del fare artistico e la possibilità di riproduzione della tecnologia, tra il distacco e il gioco. Affiora inoltre, lo sviluppo di un’autonomia intrinseca alle opere, la nascita di queste come organismi tecnologici capaci di animarsi, conversare, sondare ciò che li circonda. Nella cultura tradizionale giapponese con il fluire del tempo le cose si animano fino a diventare spiriti (tsukumogami). Gli occhi delle opere hanno lo scopo di alimentare quest’anima. L’opera ci somiglia, ci richiama, ci riguarda. Noi ci relazioniamo con lei e lei con noi. Per l’artista ogni oggetto è dotato di anima. Le “cose” che ci circondano ci osservano, si fanno toccare, aiutano nella fatica, fanno compagnia, consentono di creare nuovi beni e ci accompagnano anche per tutta la vita.
I robot prestati all’arte forniscono l’opportunità di ragionare sull’umanizzazione di scienza e tecnologia. Le sculture interattive scrutano e reagiscono, a volte parlano, rendendo impossibile non tentare di instaurarvi un discorso. Inizia così un gioco di ruoli, interattivo, fatto di sguardi verso un osservatore che ricambia ogni tentativo di approccio in un modo singolare. Nello scambio di intenzioni sta il cardine della ricerca sottesa alle opere: il legame tra tecnologia, arte e umano. I robot di Ale Guzzetti non cercano consenso ma un rapporto empatico con le altre sculture, e nel gioco dei flirt conoscitivi, con noi.
Nella serie Robots portraits, incorniciati e allineati alle pareti, profili di caricature robotiche di illustri personaggi, reali o immaginari, fanno rivivere il passato negli occhi osservanti di Cyrano de Bergerac e Federico da Montefeltro, di Cleopatra e Venere. Emerge il concetto di ibrido che stabilisce una relazione inedita fra quello che è considerato il supporto della pittura per eccellenza e materiali, nuances e tratti somatici peculiari di un mondo artistico inconsueto. Questi visi di resina e circuiti elettronici sono dotati di grandi occhi tecnologici, capaci di empatia, che esplorano le meraviglie create dall’uomo per mezzo dell’arte e, allo stesso tempo, osservano l’uomo stesso.
Per realizzarli è necessaria la presenza di sensori in grado di intercettare le sollecitazioni provenienti dall’ambiente per attivare parole e movimenti. Le intelligenze artificiali, realizzate per venire in aiuto all’uomo (dall’attività industriale, alla sicurezza fino alla cura della persona), oggi vi si confrontano senza abbandonare l’elemento empatico. Un mutuo beneficio in cui anche l’arte impara a confrontarsi con la realtà e il futuro.
I Sensitive bust (busti bianchi e neri di resina dotati di occhi o di bocca) trasportano lo spettatore avanti nel tempo. Oltre al classico gioco di sguardi questi sollecitano il senso dell’udito: emettono suoni e recitano poesie capaci di creare un’atmosfera che avvolge interamente la percezione dello spettatore. Una di queste opere si lascia sfuggire, con voce metallica, la frase Welcome to the future, spuntando, in orizzontale, dalla parete.
Le opere che fanno parte di Quando i robot incontrarono gli antichi dei (nate tra il 2018 e il 2020) offrono una nuova panoramica sull’ibridazione tra i materiali, le forme classiche e le apparecchiature di nuova generazione. La manualità del fare artistico si confonde con l’automazione tecnologica; ciò è reso possibile grazie all’accesso a My Mini Factory, l’archivio libero mondiale di opere classiche scansionate in digitale da stampare, successivamente, in 3D. Queste sculture robotiche rivolgono il pensiero all’arte del passato rimandando costantemente alle sculture classiche: dalla Medusa del Rondanini al Torso Gaddi. Busti e volti statuari si completano con visori, schermi e device di ultima generazione; come se i personaggi storici rappresentati nelle opere cercassero di mimetizzarsi con l’uomo del nuovo secolo ormai incapace di percepirsi senza ausilio tecnico.
Passato, presente e futuro si trovano seduti alla stessa tavola. Parlare con epoche lontane serve a capire, recarsi nel passato aiuta a pensare meglio al futuro. Le sculture sussurrano ciò che sanno e ciò che continuano ad apprendere. Passato e presente convivono in un’unica opera d’arte, l’arte plastica convenzionale e la robotica si scambiano informazioni e dialogano fra loro. Emerge l’influenza degli studi sulle teorie filosofiche di Jean-Luc Nancy secondo cui la produzione di ogni opera trova giustificazione nell’esistenza di uno spettatore. Lo sguardo è capace di presentare in superficie l’essenza, diventando mezzo basilare per l’esposizione. Nasce una doppia implicazione: l’essere visti dall’altro e il proporsi alla vista dell’altro, una proposta ed una risposta. Una relazione vis à vis, uno sguardo doppio, il primo è quello dello spettatore, il secondo quello di chi lo guarda e lo richiama a sé. Nel vedere ci si vede, nello sguardo ci si mette in gioco. Non si può guardare senza che questo ci ri-guardi.