SGUARDI DIVERSI
di Raffaella Pulejo
Direttore Corso Visual Cultures e Pratiche Curatoriali
Accademia di Brera, Milano
L’idea che il “nuovo” costituisca la principale qualità dell’arte contemporanea, e che questa sia in uno stato di perenne rottura con il passato, è un’idea fuorviante. Per secoli, e prima della rivoluzione delle avanguardie artistiche del novecento, era la ripetizione di modelli affermati, fondati sui canoni, che teneva la scena e costituiva il nucleo dell’insegnamento nelle accademie di belle arti. Ma anche quando nella modernità gli artisti hanno sovvertito quei canoni, declinando la forma in un linguaggio talvolta ostico per il publico, non si è mai spezzato il legame dell’arte con il sapere scientifico del proprio tempo. Un’opera d’arte contemporanea, diceva l’artista Luciano Fabro, riscrive tutta la storia dell’arte del passato, si lega sempre ad una genealogia rinnovandone nel presente le idee. Gli esempi dei rapporti tra arte e scienza nel corso della storia dell’arte occidentale sono costanti, al punto che si potrebbe affermare che nessuna forma d’arte sia immaginabile lontano dai saperi scientifici e tecnologici che caratterizzano ogni civiltà. Anche la perfetta bellezza ideale dei capolavori dell’arte classica, che così ‘facilmente’ ci seduce, si basava sulle proporzioni matematiche della sezione aurea, e sulle relazioni armoniche che secondo i filosofi greci governavano la natura e l’intero cosmo.
Quelle relazioni armoniche erano per esempio espresse, o meglio rivelate, dalle proporzioni musicali, poiché la corda risuonava armonicamente secondo misure precise. Alle origini del sapere arte e scienza, filosofia e musica ‘risuonavano’ l’una nell’altra. Così risuonano di quella musica interna, risonanza di spazi più estesi, eco dello scheletro armonico, Il bosco delle Ninfe di Ale Guzzetti, se solo ci muoviamo vicino ad esse, risvegliandole.
L’ampia mostra di Ale Guzzetti promossa dal Comune di Saronno, e ospitata nelle tre sedi della Sala Nevera, dello Spazio UFO, e della Galleria il Chiostro, realizzata in collaborazione con la collaborazione degli studenti del corso di Visual cultures e pratiche curatoriali dell’Accademia di Brera, presenta il lavoro dell’artista lungo quaranta anni di attività. Ale Guzzetti è stato tra i primi in Italia a dedicarsi alla relazione tra arte e nuove tecnologie, con una attenzione particolare alla nuova interazione che i dispositivi digitali ci mettono a disposizione. Quella tecnologia che potrebbe apparire lontana, innerva già la nostra vita quotidiana e si connota come una nuova protesi dei nostri stessi corpi: teniamo in mano – letteralmente sul nostro corpo -, gli smartphones, che sono solo i più visibili e diffusi tra i dispositivi diventati necessari alla nostra esistenza. Non ci appaiono allora straniere le figure che, consegnate a noi dalla classicità, Ale Guzzetti contamina con le tecnologie a noi familiari, innestate nella materia inerte che si anima, reagisce alla nostra presenza, sollecitata dal nostro sguardo e dal nostro movimento. Dal canone classico, passando per gli autómata rinascimentali, fino ai robot e all’intelligenza artificiale, il sogno della scultura sin dai tempi più remoti, è stato quello di replicare la vita. Il “potere delle immagini” come direbbe lo studioso David Freedberg, si fonda sulla loro natura attiva nel sollecitare il desiderio e l’immaginario dello spettatore, il quale a sua volta compie, al posto della immagine inerte, l’atto mancante arrivando a percepirne la presenza viva. E’ il meccanismo tanto nelle immagini erotiche che evocano il desiderio, quanto in quelle sacre che incarnano il divino, davanti ad entrambe lo spettatore è mosso al desiderio di toccare, baciare, rispondere ad un richiamo reale.1
Le sculture di Ale Guzzetti, innestate dalle immagini digitali, si inscrivono in questa lunga genealogia artistica, da essa traggono l’archetipa potenza di attrazione sui nostri sensi, e prima che la nostra inquietudine abbia il sopravvento al battito elettronico delle loro palpebre, ci interrogano sulla natura del mondo che abitiamo. Perché nulla resti per noi scontato, perché il nostro sguardo resti attento. E perché no, anche sognante.
1 D. Freedberg, Il potere delle immagini. Il mondo delle figure:reazioni e emozioni del pubblico, (1989), Einaudi, Torino 2009